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Il digiuno intermittente è una pratica che alterna periodi di digiuno a periodi di alimentazione regolare, con vari benefici per la salute. Uno dei principali vantaggi è la perdita di peso poiché, riducendo il numero di ore in cui si mangia, si consumano meno calorie e il corpo attinge alle riserve di grasso per produrre energia. Il digiuno intermittente può anche migliorare la sensibilità all'insulina, utile nella prevenzione o gestione del diabete di tipo 2 e ridurre i marcatori di infiammazione, che sono collegati a malattie croniche come disturbi cardiaci e autoimmuni. Tra i benefici per la salute cardiovascolare, il digiuno può abbassare i livelli di colesterolo LDL, trigliceridi e pressione sanguigna. Sul piano neurologico, promuove la produzione di BDNF, una proteina che favorisce la crescita di nuovi neuroni, potenzialmente prevenendo malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson. Studi sugli animali suggeriscono che il digiuno intermittente può anche allungare la durata della vita grazie ai suoi effetti su metabolismo, infiammazione e funzione cellulare. Un altro vantaggio è l'attivazione dell'autofagia, un processo che rimuove cellule danneggiate e favorisce il rinnovamento cellulare, contribuendo alla prevenzione di malattie croniche e all'invecchiamento sano. Oltre ai benefici fisici, il digiuno intermittente può semplificare la dieta, riducendo il numero di pasti da pianificare. Alcune ricerche sugli animali indicano anche che potrebbe rallentare la crescita dei tumori e aumentare l'efficacia della chemioterapia. A livello sportivo, alcuni atleti lo usano per migliorare le prestazioni e favorire l'utilizzo dei grassi come fonte di energia. Le modalità più comuni includono il 16/8 (16 ore di digiuno e 8 di alimentazione), il 5:2 (cinque giorni di alimentazione regolare e due giorni di apporto calorico ridotto) e il digiuno a giorni alterni. Nonostante i numerosi benefici, il digiuno intermittente non è adatto a tutti; persone con determinate condizioni mediche o donne in gravidanza dovrebbero consultare un medico prima di adottarlo. Inoltre, è essenziale abbinare il digiuno a una dieta equilibrata per garantire un apporto nutrizionale adeguato.

Dr. Sebastiano Cefalú (biologo nutrizionista)

Quando si parla di depressione sarebbe probabilmente più corretto parlare di spettro dei disturbi dell’umore in quanto le loro manifestazioni possono essere più o meno gravi e dipendere da diversi fattori: da una predisposizione genetica (familiarità), includere fattori biologici (alterazione della serotonina e della dopamina che sono neurotrasmettitori cerebrali), ambientali (stress, traumi e/o lutti) e psicologici (scarsa stima di sé, difficoltà nel relazionarsi agli altri).

Si tratta di disturbi psichiatrici con sintomi ben specifici tra i quali basso tono dell’umore, anedonia (incapacità di provare appagamento o interesse per attività comunemente ritenute piacevoli), sintomi fisici (ad es. mal di testa, dolori muscolari, tachicardia) e cognitivi (ad es. indecisione, colpevolizzazione, autosqualifica…).

Alcuni tra i più noti disturbi depressivi: Depressione Maggiore (umore depresso prolungato, senso di affaticamento, difficoltà a dormire e pensieri suicidari); Dystimia (Disturbo Depressivo Persistente, sintomi cronicizzati seppure meno gravi rispetto alla depressione precedentemente descritta, ma più duraturi); Disturbo Depressivo Post-Partum (con sintomi che solitamente interferiscono con la cura del neonato e il legame madre-figlio).

Possono essere diagnosticati tramite colloquio clinico, uso di test e questionari specifici e, ultimo ma non ultimo, escludendo altre patologie sia fisiche che mentali caratterizzate da sintomi simili a quelli della depressione.

Una volta accertata la diagnosi, si può intervenire con una psicoterapia, farmacoterapia, tecniche di rilassamento e supporto sociale (ovviamente la terapia “elettiva” deve essere necessariamente definita una volta verificata lagravità della condizione presentata dal paziente).

dott. Federica Giuli, psicologa

Ciò che differenzia principalmente una Persona Altamente Sensibile (High Sensitive Person – HSP o PAS) dalla maggioranza delle persone è una capacità più profonda di elaborazione delle informazioni.

Le PAS colgono più dettagli nell’ambiente, pensano alle cose più profondamente e sono più coinvolte a livello emotivo da ciò che accade intorno a loro. Sono maggiormente colpite dalle ingiustizie, dai danni al pianeta e alla natura, dalle sofferenze altrui.  Sono infastidite dai rumori, dalla confusione e dai contesti in cui non percepiscono armonia.

Sentono più intensamente anche le emozioni positive, come la gioia e l’amore, e apprezzano maggiormente la bellezza, la musica, l’arte. Sono empatiche e portate ad anticipare i bisogni degli altri e ad intuire la soluzione dei problemi perché hanno la capacità di percepire e collegare molti dettagli e avere una visione di insieme.

La maggior percezione ed elaborazione degli stimoli porta però anche ad una maggior facilità a sentirsi sovra stimolati. Le PAS infatti raggiungono prima la soglia in cui si sentono sopraffatte da situazioni, rumori, immagini, ambienti, persone, pensieri. Tutto questo può essere causa di stress e diventare un fattore predisponente a sviluppare ansie, nevrosi, sensazioni di inadeguatezza, bassa autostima, difficoltà a prendere decisioni, sensazione di avere qualcosa che non va.

Ma l’Alta Sensibilità in sé non è un disturbo né una condizione patologica ma un tratto innato del temperamento, presente in più 20% della popolazione, nella stessa misura in uomini e donne.

Gli studi hanno evidenziato che nelle persone Altamente Sensibili si attivano maggiormente le aree cerebrali che hanno a che fare con l’emozione, la consapevolezza e l’empatia, ma anche che le persone altamente sensibili raggiungono più facilmente livelli elevati di attivazione e stress.

La prima ad identificare e studiare approfonditamente il tratto dell’Alta Sensibilità è stata la Dottoressa Elaine Aron che ha condotto una serie di ricerche che l’hanno portata ad identificare questa caratteristica in modo univoco rispetto ad  altre dimensioni, come l’introversione o la timidezza, che possono essere associate all'alta sensibilità ma non sono la stessa cosa.

Dal momento che questa maggior sensibilità non è immediatamente evidente, le PAS non vengono facilmente comprese, e se questa caratteristica porterà loro più vantaggi che svantaggi è in buona parte funzione del contesto in cui crescono, vivono, lavorano.

​Molto spesso le persone Altamente Sensibili (PAS) vivono la propria vita al di sotto delle proprie potenzialità perché hanno un modo diverso dalla maggior parte delle persone di relazionarsi con l’ambiente esterno, fanno fatica a conseguire risultati secondo i modelli culturali dominanti, si sentono fuori posto, mostrano bassi livelli di autostima e possono sviluppare facilmente ansia e diversi sintomi psicosomatici.

Devono quindi trovare il giusto equilibro tra l’essere nel mondo e ritirarsi da esso ed imparare a vivere secondo i loro bisogni e i loro ritmi diventando empowered, cioè persone consapevoli delle loro qualità, capaci di viverle con autostima e autoefficacia e di portare il proprio contributo nel mondo.

Attraverso la presa di consapevolezza delle caratteristiche del proprio tratto e imparando a prendersi cura di sé e ad identificare le loro modalità di espressione potenzianti, le PAS possono accedere ai loro doni ed esprimerli nella propria vita quotidiana, nel lavoro e nelle relazioni sentendo di poter realizzare la propria autentica vocazione.

Se non lo fanno possono andare incontro a una serie di disturbi di salute, comportamentali, emotivi che possono impattare il loro senso di benessere e la loro intera vita.

Un percorso di empowerment è un percorso di crescita basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare la persona ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale.

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La buona notizia è che, attraverso la presa di consapevolezza delle caratteristiche del proprio tratto e imparando a prendersi cura di sé e ad identificare le loro modalità di espressione potenzianti, le PAS possono accedere ai loro doni ed esprimerli nella propria vita quotidiana, nel lavoro e nelle relazioni sentendo di poter realizzare la propria autentica vocazione.

Un percorso di empowerment è un percorso di crescita basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare la persona ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale (Elena Lupo, Persone Altamente Sensibili – HSP Italia).

Roberta Ganeo, coach

La sindrome metabolica è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di più fattori di rischio che aumentano il rischio di sviluppare patologie croniche. I criteri diagnostici includono la presenza contemporanea di almeno 3 dei seguenti 5 fattori: obesità addominale o circonferenza vita superiore a 88 cm per le donne e 102 per gli uomini, l’ipertensione, l’aumento dei livelli di glucosio nel sangue, i trigliceridi alti e il colesterolo HDL basso. È una sindrome in aumento anche in Italia, dove si stima che coinvolga circa il 25-30% della popolazione adulta, con una prevalenza maggiore nelle persone sopra i 50 anni. Questo dato preoccupa perché la sindrome metabolica rappresenta un rilevante problema di salute pubblica, contribuendo in modo significativo alla mortalità legata a malattie croniche, in particolare cardiovascolari ed oncologiche.

Le cause della sindrome metabolica sono molteplici e complesse, includendo fattori genetici, alimentari, sedentarietà e stress. Negli ultimi anni, però, sta emergendo sempre più chiaramente il ruolo cruciale del microbiota intestinale, l’insieme di miliardi di batteri che popolano il nostro intestino. Studi recenti hanno dimostrato che la disbiosi, ovvero un'alterazione della composizione del microbiota, è strettamente associata allo sviluppo della sindrome metabolica. In particolare, una flora intestinale sbilanciata può portare a una condizione chiamata endotossiemia metabolica, in cui frammenti batterici (come i lipopolisaccaridi) passano dalla barriera intestinale nel flusso sanguigno, attivando risposte infiammatorie croniche e contribuendo all’insulino-resistenza, all’accumulo di grasso e all'infiammazione sistemica, elementi cardine della sindrome metabolica.

Queste scoperte aprono nuove prospettive per il trattamento e la prevenzione della sindrome metabolica. La possibilità di analizzare il microbiota in modo dettagliato consente di identificare specifici squilibri e intervenire con precisione. Accanto alle modifiche dietetiche personalizzate, si stanno sviluppando interventi di nutraceutica di precisione, come prebiotici, probiotici e altri composti bioattivi, in grado di ripristinare l’equilibrio del microbiota e, di conseguenza, migliorare lo stato metabolico. Questi approcci innovativi offrono nuove speranze per contrastare la sindrome metabolica e migliorare la salute della popolazione.

Giovanni Buonsanti, biologo nutrizionista

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