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Traumi sessuali: le molteplici forme, conseguenze e percorsi di guarigione

6 Marzo 2025

La parola trauma deriva dal greco τραũμα che significa ferita. Viviamo un trauma psichico quando siamo esposti ad uno stimolo minaccioso ed improvviso a cui non possiamo reagire né sottrarci, che sovrasta la nostra capacità di farvi fronte emotivamente, provocandoci un profondo senso di impotenza, di intensa paura ed orrore. Una ferita che può travolgerci per i suoi effetti e le sue conseguenze e può impedirci di continuare a vivere come prima. Non tutti reagiamo agli stessi eventi nello stesso modo ed anche la nostra reazione soggettiva può variare nell’arco della nostra vita. Quando viviamo un’esperienza traumatica è il nostro sistema di sopravvivenza a prendere il sopravvento e questo accade in modo automatico e fuori dal nostro controllo. Per questo motivo ci può capitare di pensare di aver reagito in modo insensato ed irriconoscibile rispetto al nostro solito modo di essere.

Il trauma può essere definito come «un fattore traumatico estremo che implica l'esperienza personale diretta di un evento che causa o può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce all'integrità fisica. Se facciamo riferimento alla sfera sessuale il concetto di trauma si riferisce ad abuso e molestie sessuali che sono definibili come tentativi di contatto sessuale ed effettivi contatti sessuali in mancanza di consenso da parte della persona che li subisce, compresi i casi in cui tale consenso non possa essere espresso a causa di alcol e droghe, situazioni di incoscienza, sbilanciamento di potere o età della vittima. Sebbene lo stupro sia forse la sua forma più conosciuta, rientrano nella categoria di abuso sessuale anche il causare deliberatamente dolore al partner durante il rapporto, utilizzare pratiche umilianti senza il suo consenso, contagiare intenzionalmente il partner con malattie sessualmente trasmissibili e, in generale, sfruttare la persona dal punto di vista sessuale, ad esempio costringendola a prostituirsi o ad apparire in materiale pornografico; nei bambini, sono da considerarsi traumatiche tutte quelle esperienze caratterizzate da richieste e attività sessuali inappropriate e indesiderate rispetto al livello di sviluppo, dall’esposizione a materiale pornografico al contatto con i genitali (toccare o palpeggiare), alla penetrazione orale, anale o al rapporto sessuale tramite penetrazione vaginale completa o al tentato rapporto sessuale. L’abuso include rapporti sessuali e/o comportamenti che prevedono toccamenti sessuali del minore, molestie senza toccamento e utilizzo del minore a scopo sessuale. A volte può non esserci nessun contatto fisico e l’abuso può avvenire online, tramite chat e/o webcam. La definizione legale considera abuso su minore ogni atto di una persona (adulto o altro minore) che con la forza, la coercizione o le minacce costringa un minore ad avere qualsiasi forma di contatto sessuale o di attività sessuale.

È noto che il trauma attivi meccanismi psicologici arcaici di difesa dalle minacce ambientali (in un primo momento immobilità tonica o freezing e successivamente immobilità cataplettica dopo le reazioni di attacco-fuga) provocando il distacco dall’usuale esperienza di sé e del mondo esterno e conseguenti sintomi dissociativi. Tale distacco sembra implicare una sospensione immediata delle normali funzioni riflessive e metacognitive; si verifica quindi una dis-integrazione della memoria dell’evento traumatico rispetto al flusso continuo dell’autocoscienza e della costruzione di significati. Da questa esperienza deriva la molteplicità non integrata degli stati dell’io che caratterizza la dissociazione patologica. Si possono distinguere due differenti tipi di sintomi dissociativi: i fenomeni di distacco e quelli di compartimentalizzazione. I primi corrispondono alle esperienze di distacco da sé e dalla realtà (alienazione) e consistono nei sintomi come la depersonalizzazione, la derealizzazione, l’anestesia emotiva transitoria, il déjà vu, le esperienze di autoscopia tipicamente attivate da emozioni dirompenti provocate da esperienze minacciose ed estreme. I secondi emergono invece dalla compartimentazione di funzioni normalmente integrate come la memoria, l’identità, lo schema e l’immagine corporea, il controllo delle emozioni e dei movimenti volontari e corrispondono a sintomi come le amnesie dissociative, l’emersione delle memorie traumatiche, la dissociazione somatoforme, l’alterazione del controllo delle emozioni e dell’unità dell’identità. I sintomi da compartimentazione, diversamente da quelli di distacco, che possono essere esperiti da chiunque in situazioni estreme, sono tipicamente conseguenze dello sviluppo traumatico e sembrano alterare la struttura stessa della personalità dell’individuo.

La ricerca psicologica teorico-clinico ha dimostrato come la dis-integrazione delle funzioni psichiche correlata al trauma, provochi con frequenza disturbi somatoformi quali dismorfismi, somatizzazioni, sintomi pseudo-neurologici, sindromi dolorose in assenza di lesioni organiche, disfunzioni sessuali; vi sono inoltre elementi comuni tra dissociazione e deficit di mentalizzazione. Le capacità metacognitive sarebbero estremamente sensibili sia all’effetto dirompente delle emozioni che ne alterano la normale operatività, sia alle esperienze traumatiche infantili che ne compromettono lo sviluppo.

I traumi vissuti durante l’infanzia e/o l’adolescenza hanno ripercussioni negative sulla vita delle persone che li hanno sperimentati. La sfera della sessualità ne è un esempio emblematico, infatti accade spesso che un individuo con una storia di abusi sessuali infantili alle spalle sviluppi nell’età adulta una disfunzione sessuale e/o un’insoddisfazione sessuale. Queste disfunzioni sessuali, derivate dal trauma, condizionano il funzionamento e impattano negativamente sulla salute e sul benessere psichico dell’individuo e della coppia. In generale si parla di disfunzione sessuale quando il soggetto subisce una significativa riduzione del desiderio e dell’eccitazione. Questa condizione di per sé non basta per parlare di una vera e propria disfunzione sessuale. Il disturbo, per essere definito tale, deve manifestarsi in maniera frequente per un periodo di almeno 6 mesi, deve essere sperimentato dal soggetto in almeno il 75% dei rapporti sessuali e causare un forte “stress psicologico”. La correlazione tra disfunzioni sessuali e trauma sessuale è da tempo studiata e approfondita in diverse ricerche scientifiche. Una di esse evidenzia che l’87% di donne sopravvissute ad aggressioni sessuali al college hanno riportato problemi di disfunzione sessuale come difficoltà a raggiungere l’orgasmodiminuzione del desiderio e/o interesse sessuale. Le vittime di abuso vivono in un costante stato di iper-vigilanza, che si esprime attraverso flashback o ricordi collegati direttamente all’abuso subito. A volte è sufficiente anche solo un contatto fisico con il partner per innescare pensieri, sensazioni fisiologiche ed emozioni involontarie come vergogna, senso di colpa e disgusto che provocano profonda sofferenza. Anche negli uomini la situazione non è diversa, il trauma da abuso sessuale può portare a disfunzioni sessuali come un desiderio sessuale ipo-attivo, problemi di eccitazione, difficoltà a raggiungere l’orgasmo e dolore durante l’atto. I problemi psicologici correlati sono principalmente ansia, depressione e attacchi di panico. Sia nelle donne che negli uomini l’abuso sessuale agisce come un fattore di “rivolta” nel processo di strutturazione dell’equilibrio psicoaffettivo dell’individuo e provoca profondi danni nella sfera sessuale e intima della vittima.  Il corpo purtroppo “accusa il colpo” e memorizza l’abuso subito in ogni situazione considerata dall’individuo un trigger.

I traumi legati alla sfera sessuale posso portare ad importanti conseguenze psicopatologiche. La natura sessuale dell’evento traumatico gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo non solo del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) ma anche di altri disturbi, come quelli sessuali, depressione maggiore, disturbi del comportamento alimentare ed in misura minore disturbi d’ansia diversi dal PTSD. La forte sofferenza emotiva e fisica provata durante un’esperienza traumatica può successivamente dar vita al Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) che è definito secondo alcuni criteri peculiari, tra i quali ricordiamo l’esposizione a una situazione di forte minaccia alla vita o all’integrità fisica (questo comprende anche la dimensione sessuale) per se stessi o altri, la possibile comparsa di pensieri intrusivi o dissociazioni, l’impossibilità a provare emozioni positive, sintomi di evitamento (sia a livello cognitivo che comportamentale), irritabilità, difficoltà di concentrazione o ipervigilanza. I sintomi maggiormente manifestati dalle vittime di sesso femminile (con anamnesi negativa per violenza sessuale durante l’infanzia) sarebbero, in ordine di frequenza: assenza di desiderio sessuale, depressione del tono dell’umore, ripugnanza per il sesso, ricordi spiacevoli e intrusivi dell’evento, dolore genitale, incubi, disagio alla riesposizione, senso di colpa, abbuffate con condotte di eliminazione. La negazione e l’evitamento, legati all’interferenza con la corretta integrazione dell’evento traumatico nella memoria a causa di eventi dissociativi, conducono spesso all’isolamento, favorendo l’insorgenza di sintomatologia depressiva. La rivittimizzazione sembra, invece, un fattore maggiormente invalidante: traumi ripetuti ridurrebbero la capacità del soggetto di reagire ad un insulto successivo. Le modificazioni psichiche determinate dall’abuso darebbero luogo ad una serie di conseguenze tali da rendere la persona più esposta a ulteriori abusi, ulteriori traumi e quindi porterebbero ad un aggravamento del PTSD conseguente e della salute psicofisica in generale. Un altro aspetto importante è rappresentato dalle conseguenze funzionali sulla salute sessuale e genitale della donna. L’aggressione a sfondo sessuale sembra essere correlata a una maggiore incidenza di dismenorrea, irregolarità mestruali, dispareunia, menorragia, amenorrea per almeno due cicli e perdita di piacere. Le donne vittime di stupro presentano tassi doppi di disturbi riproduttivi o sessuali. L’abuso di alcol risulta essere la più frequente associazione in caso di PTSD, con importanti evidenze che l’esordio dell’abuso insorga successivamente al PTSD. L’alcol aumenta il rischio di rivittimizzazione per molteplici motivi: disturba i meccanismi autoprotettivi e le capacità di problem solving rendendo la donna più vulnerabile a eventuali aggressori, inoltre modifica l’impressione suscitata sull’uomo, che la percepisce come sessualmente più disponibile. Analoga funzione potrebbe essere attribuita all’abuso di altre sostanze. La teoria ad oggi più accreditata è, però, quella dell’auto-medicazione; l’alcol verrebbe usato per fronteggiare gli stati affettivi spiacevoli e dolorosi.

Le vittime di sesso maschile sembrano avere maggiori reazioni di rabbia, ostilità e depressione rispetto alle donne. In alcuni casi questi meccanismi possono sfociare in etero-aggressività oppure rabbia o fantasie di vendetta nei confronti dell’aggressore o della società. In alternativa, molti uomini adottano atteggiamenti controllati, quali accettazione sottomessa, minimizzazione o rifiuto. Queste modalità possono rendere l’uomo predisposto a sequele psicologiche a lungo termine poiché l’atteggiamento sopra riportato rende più improbabile la ricerca di aiuto e più difficoltosa la metabolizzazione del trauma. Le conseguenze psicologiche più spesso evidenziate sono l’aumentato senso di vulnerabilità o cambi drastici dello stile di vita, mutamenti della percezione che le vittime hanno di sé o ridotta mascolinità e auto-colpevolizzazione, considerata il fattore peggiore nel recupero di uno stato di salute.

Mentre gli effetti a breve termine del trauma sessuale sono, anche se retrospettivamente, facilmente inquadrabili in un Disturbo Post-Traumatico da Stress, gli effetti a lungo termine includono sintomi come depressione dell’umore, ansia, abuso di sostanze, somatizzazioni ed alterazioni del comportamento alimentare. È possibile, inoltre, che l’abuso sessuale possa essere una causa traumatica slatentizzante una patologia psichica preesistente o una conseguenza della patologia stessa. Queste considerazioni trovano conferma anche nella letteratura scientifica più recente che evidenzia l’alta incidenza di abuso sessuale in pazienti con Disturbi del Comportamento Alimentare ed in pazienti con Disturbo da Abuso di Sostanze.

La Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) centrata sul trauma aiuta i pazienti ad identificare e modificare i pattern distorti di pensiero riguardanti se stessi, l’evento traumatico ed il mondo, insegnando, inoltre, a gestire l’ansia e le emozioni negative, allo scopo di ridurre i sintomi persistenti di iper-arousal che presentano le persone che hanno subito un trauma. I protocolli di TCC centrati sul trauma enfatizzano in maniera particolare gli interventi di esposizione. L’esposizione effettuata su persone che hanno subìto un trauma si basa su due principi: abituazione (ossia la riduzione dell’ansia dopo una esposizione prolungata) e processamento dell’informazione (che consente la ri-valutazione della vecchia informazione e l’incorporazione di una nuova, alternativa e funzionale nella memoria del trauma). L’esposizione può essere effettuata in vivo (nelle situazioni della vita reale) oppure in forma immaginativa allo scopo di agire sulle risposte emotive e fisiologiche elicitate in presenza degli stimoli temuti, sia interni che esterni. I benefici terapeutici ottenuti con la TCC sono dovuti, principalmente, all’attivazione dei network della paura durante i protocolli di esposizione prolungata. È stato suggerito, infatti, che la rielaborazione dell’esperienza traumatica richieda un’attivazione prolungata delle rappresentazioni mentali associate al ricordo traumatico, per consentire l’abituazione all’ansia ed il cambiamento delle credenze associate al trauma. Ciò risulta coerente con l’osservazione che i sintomi del PTSD sono dovuti anche a un deficit di accesso alle memorie traumatiche.

Durante l’esposizione prolungata al paziente viene chiesto di:

  1. raccontare più volte, in maniera dettagliata, l’evento traumatico fino a quando la risposta emotiva diminuisce;
  2. affrontare, gradualmente, situazioni sicure che, tuttavia, generano la paura associata ai ricordi del trauma.

L’esposizione viene utilizzata per accrescere il processamento emotivo degli eventi traumatici, aiutando i pazienti ad affrontare le memorie traumatiche e le situazioni associate ad esse. I pazienti, infatti, imparano che possono ricordare “in sicurezza” e tollerare la sofferenza evocata, poiché essa decresce nel tempo. Il focus dell’esposizione prolungata può essere un singolo evento o più eventi traumatici (scelti in base alle caratteristiche individuali e alla storia del paziente). Il terapeuta, inoltre, deve sempre ricordare al paziente che l’evitamento riduce l’ansia a breve termine ma mantiene e alimenta la paura, impedendo l’acquisizione di una nuova consapevolezza, cioè che le situazioni che provocano sofferenza e/o le memorie traumatiche non sono pericolose di per sé. È stata dimostrata l’efficacia dei protocolli di TCC nel trattamento del PTSD in vittime con storia di abuso sessuale, suffragando l’ipotesi che tale trattamento produca una significativa riduzione del pattern sintomatologico anche in persone con storie traumatiche complesse. La TCC centrata sul trauma, inoltre, ha prodotto degli effetti comparabili a quelli ottenuti con l’utilizzo della tecnica EMDR.

Gian Luca Cesa, psicologo e psicoterapeuta

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